"Il traduttore è con evidenza l'unico autentico lettore di un testo. Certo più d'ogni critico, forse più dello stesso autore. Poiché d'un testo il critico è solamente il corteggiatore volante, l'autore il padre e marito, mentre il traduttore è l'amante." Gesualdo Bufalino |
"Questo deve fare il perfetto traduttore; senza sviarsi né a destra né a sinistra deve trovare la ragione espressiva della propria fatica; la sua personalità non si annulla perché non può, ma si fa trasparente, si riduce come una parete di cristallo che lascia vedere senza deformazioni ciò che sta dall'altra parte, ma che con il suo spessore mantiene separati gli ambienti." Benvenuto Terracini |
Il bravo traduttore – così vuole la tradizione – è invisibile.
Etimologicamente, tradurre significa trans-ducere, trasportare, portare dall'altra parte.
A tal proposito, da quando ho iniziato a pormi domande sulla traduzione, quella letteraria in particolare, ho sempre avuto davanti agli occhi l'immagine di uno scrigno pieno di pepite d'oro scintillanti che deve essere trasportato intatto da una riva all'altra di un torrente (lingua e cultura del testo da tradurre su una sponda, universo linguistico e culturale di destinazione sulla sponda opposta), cercando di farle "bagnare" il meno possibile.
Da un lato, al traduttore viene chiesto di essere "onnisciente": deve conoscere la teoria della traduzione, la grammatica e sintassi della coppia di lingue da e verso cui traduce, le tecniche e strategie traduttive, il pubblico target, i desideri del committente, l'opera omnia dell'autore tradotto, la temperie culturale in cui vive o è vissuto, la relativa letteratura secondaria e così via, oltre a possedere doti innate e saper sfruttare al meglio l'aiuto di dizionari, glossari e manuali.
Dall'altro, per "immergersi" completamente in un testo letterario e nella sua trasposizione deve fare tabula rasa di tutte le conoscenze appena citate. Per aderire a un testo letterario occorre in qualche modo annullarsi, non bisogna sovrapporre, cioè, le proprie idiosincrasie a quelle dell'autore, quanto piuttosto instaurare con il testo originale quello che è stato opportunamente definito un rapporto di "intimità rabdomantica". Solo in un secondo momento e con un certo distacco, idealmente anche temporale, si torna sui propri passi e si riguarda il proprio lavoro, stavolta con l'occhio critico del correttore di bozze e del revisore.
La traduzione può in questo senso essere considerata alla stregua di un esercizio di meditazione: riempirsi del testo di partenza (struttura, trama, personaggi, lingua, ritmo), lasciarlo penetrare in tutte le cellule, metabolizzarlo. Quindi svuotarsi, rileggere e tradurre da una distanza obiettiva e critica, senza pregiudizi, colmando questo spazio vuoto con le parole "giuste" che sapranno scaturire da sole, sempre che siano dati presupposti quali sensibilità, orecchio, capacità di scrittura.
Se si percepisce il testo come una partitura musicale, il traduttore può essere visto come l'interprete di un brano, un violinista o pianista che fa rivivere e vibrare ciò che è già scritto. Il suo compito, com'è noto, è infatti lasciar emergere la voce dell'autore così com'è, cercando di darle corpo e volume con altri mezzi. Più è umile, nel senso di flessibile e disponibile a lasciarsi attraversare dallo "spirito del testo", più il traduttore sarà fedele. Oltre che rispettoso del suo proverbiale ruolo di "tramite", "veicolo", "costruttore di ponti" e "traghettatore di parole".
Se il traduttore riesce nell'impresa, la sua è dunque un'invisibilità consapevole, conquistata parola dopo parola, pagina dopo pagina, palpabile ed eloquente.